Il mio primo amore mi è stato presentato da un amico comune e si chiama M.O.
M.O. chiese di presentarsi alla mia famiglia una settimana dopo il nostro fidanzamento. Venne con la macchina migliore che aveva. Si presentò ai miei genitori come una persona seria ed equilibrata, laureata, che aveva un posto di lavoro sicuro e che aveva nei miei confronti le intenzioni più serie.
All’epoca del fidanzamento avevo diciotto anni e avevo appena iniziato a frequentare l’università. Essendo per me molto difficile frequentare, con i miei genitori decisi di trasferirmi a in una stanza per studenti.
Quando dissi a M.O. quali erano le mie intenzioni ed aspirazioni future, si oppose dicendo che era meglio sposarsi prima di un trasferimento e che era contrario ai fidanzamenti a distanza. Essendo scontato ed imminente il matrimonio tra noi decisi di accogliere la sua esigenza e posticipare e rallentare i miei studi, in nome di una progettualità futura e condivisa.
Lui è molto chiuso e difeso socialmente e mi utilizzò come apripista nei rapporti interpersonali che dovevano comunque avere delle caratteristiche che lo rispecchiassero e lo facessero sentire a suo agio. Così mi riprendeva e interveniva nei miei modi d’essere dicendo che non ero adatta o ero imbarazzante, in modo da creare dei rapporti interpersonali in cui potesse entrare comodamente anche lui e in cui si poteva sentire sicuro e molto stimato per posizione ed intelligenza. Con tutte le persone a me legate che lui considerava non all’”Altezza” si comportava in modo freddo e distante generando imbarazzi e resistenze che ci allontanavano da loro e, di fatto, portandomi a frequentare solo chi volesse e accettasse lui. Anche i contatti telefonici mi erano commentati e rimproverati, creandomi intensi sensi di colpa se gli disubbidivo o lo deludevo e lo facevo soffrire.
M.O. si rappresentava a me come un uomo di esperienza, di elevato spessore culturale e intelligenza. Si rappresentava come una persona molto superiore a me, ma che mi amava così tanto da essere pronto ad accertarmi per la mia genuinità e onestà, purché non gli creassi imbarazzi e difficoltà. Lui si diceva sicuro che poi studiando e perseguendo i miei sogni si sarebbe creato il giusto equilibrio tra noi. Fino ad allora si sarebbe preso cura lui di me e mi avrebbe protetto anche da me stessa.
Così iniziammo ad organizzare il nostro matrimonio. Lui però scelse la nostra futura casa e firmò il contratto senza nemmeno che l’avessi vista. Quando mi fu detto scoppiai a piangere e i miei genitori mi consolarono dicendo con l’amore queste cose si superano. Lui si rese conto che ero divenuta incerta sull’opportunità di sposarci e mi stette molto vicino, consolandomi e scusandosi. Io lo vedevo sincero e mi convinsi a concedergli un’altra possibilità.
Il matrimonio fu fatto e il giorno dopo, alla partenza per il viaggio di nozze, ebbi l’ennesima crisi di pianto, ero terrorizzata. Al ritorno dal viaggio, iniziò a chiarire le regole.
1- I miei genitori, e in particolare mia madre, non erano ben accetti a casa nostra, perché fumavano e questo lo infastidiva e perché toccavano (per aiutarmi nelle pulizie) le sue cose.
2- Io che sono sempre stata una fumatrice, non dovevo più fumare. Lui custodiva il mio pacchetto di sigarette e me ne dava prima metà ogni quattro giorni, poi un terzo ogni cinque giorni. Se scopriva che non ce la facevo e fumavo, mi faceva le valigie e mi cacciava di casa.
3- Non dovevo spolverare, perché sui mobili c’erano le sue cose e le potevo danneggiare.
4- Non potevo liberare il tavolo per mangiare ma dovevamo mangiare in un angolo dello stesso perché c’erano le sue cose e spostandole si potevano danneggiare.
5- Non dovevo avvicinarmi ai mobili con lo straccio quando lavavo i pavimenti altrimenti rovinavo i mobili.
6- Non dovevo spostare i mobili in casa nel modo più assoluto, altro motivo per cui sarei stata cacciata di casa.
7- Se gli disubbidivo sarebbero iniziate urla e dispetti senza fine.
8- Non dovevo avere soldi perché potevo comprarmi le sigarette e comunque non li potevo saper maneggiare con coscienza.
9- Quando facevamo sesso io diventavo sporca e gli scadevo e lui si deprimeva e girava di spalle e quindi su sua decisione lo si faceva poco e se lo decideva lui. Se lo facevo arrabbiare mi puniva rifiutandosi di toccarmi anche solo per affetto.
10-Non dovevo uscire senza di lui e potevo frequentare amicizie solo con lui e da lui approvate.
11-Dovevo fargli fare bella figura.
12-Mi dovevo prendere cura di lui, mi alzavo prima per portargli il caffè a letto, preparargli la colazione e riscaldargli il bagno. Mentre si lavava gli preparavo i vestiti sul letto e mentre si vestiva, gli preparavo i documenti e la borsa per il lavoro. Prima di uscire mi lasciava le commissioni (posta per bollette, spesa e altre cose) e i soldi contati che occorrevano e io dovevo conservare gli scontrini e la lista delle cose in modo che lui potesse controllare.
13-Si doveva parlare perfettamente in italiano.
Queste regole furono imposte senza che ci potessi fare nulla e quando mi lamentavo dai miei, persone molto religiose, mi veniva detto di resistere e che il matrimonio è anche questo e col tempo le cose sarebbero cambiate.
Dopo qualche anno chiesi di avere un bambino, desiderio da parte mia allungo represso. Lui pur incerto e insicuro ci provò, così rimasi subito incinta e finalmente potei avere una bimba.
La gravidanza andò bene, io ero felice di avere finalmente un figlio. Lui era nervoso, diceva spesso:”vedi che ti ho fatto!”. Da allora non mi toccò più, prima perché ero incinta, poi perché aveva impressione della cicatrice del cesareo, dopo perché ero ingrassata e infine perché lo facevo arrabbiare, fino a quando lo lasciai dopo quasi tre anni di mancati rapporti intimi. Dopo la nascita della bimba M.O. peggiorò, era sempre più nervoso. Non mi aiutava in alcun modo con la piccola e diceva che la madre ero io e me la dovevo vedere io. Quando gli chiedevo aiuto e insistevo perché oltre a dire cosa dovevo fare e cosa no, intervenisse anche in prima persona si arrabbiava e urlava. Si lamentava che non gli preparavo più il caffè la mattina, ma dopo una notte sveglia avrei voluto io il caffè a letto la mattina. Diceva che non lo seguivo più e non lo accudivo più come prima, ma prima avevo solo lui come “bimbo” da accudire ora erano in due e non riuscivo più a fare tutto. Se gli chiedevo aiuto lui usciva la mattina e tornava la sera alle 23, con la bimba c’era pochissimo tempo. Il sabato e la domenica si arrabbiava se io e la piccolina, che si svegliava comunque alle sei, facevamo rumore poiché lui poteva dormire solo i fine settimana. La notte doveva riposare e non lo dovevamo svegliare. Di giorno, quando c’era, doveva lavorare e non lo dovevamo disturbare. Ricordo un periodo in cui sono stata veramente disperata.
In quel periodo, quando la bimba aveva 16-18 mesi si è scatenata in me la voglia di chiudere il nostro rapporto e di scappare via.
Mi diceva:”se tornassi indietro non la rifarei la bimba”; “una bella moglie e figlia l’hanno tutti io non ho fatto niente di speciale”; “voi mi limitate”. In quell’inverno diede il peggio di sé: cacciò fuori la bimba perché appena lo vedeva diceva che era brutto e se ne doveva andare, mi schifava e odiava, mi lanciava le cose appresso anche i palloni della bimba in faccia mentre cercavamo di giocare tutti insieme come una famiglia normale, stava il più lontano possibile da noi! Quando rientrava a casa restava sulla soglia e mi chiamava, io gli chiesi perché aveva preso a fare così e lui mi disse:”ho paura di entrare e trovarti che ti sei uccisa… e lo sai il sangue mi impressiona”.
In quel periodo gli chiesi di fare terapia di coppia, ma lui si rifiutò dicendo che se volevo andare io lui non avrebbe pagato e se ci lasciavamo era colpa mia.
Così trovai da sola la Dottoressa Rendina e iniziai in segreto la mia psicoterapia. Fu un percorso molto produttivo. Dopo un primo momento, che durò qualche mese, di crisi e disorientamento, presi consapevolezza di mè, di cosa volevo, di quali erano i miei difetti che mi avevano incastrato in quella relazione, di quali erano le mie responsabilità... fino ad arrivare a perdonare prima lui e poi soprattutto me. E’ stato molto doloroso e difficile, è durato quasi un anno. Dopo aver tentato di aiutare lui e salvare il nostro matrimonio, finalmente andai via con la bimba e lo lasciai. Purtroppo i miei mi dissero che non era concepibile un divorzio e dovetti prolungare la mia terapia di altri sei mesi perchè avevo bisogno di aiuto per gestire la mia separazione sia con lui.. ma soprattutto con la mia famiglia che non l’ha mai accettata. Le cose peggiorarono e lui mi diceva che tanto non avevo dove andare dovevo tornare. Io all’insaputa di tutti, tramite amici ( che per fortuna sono tanti e molto affezionati), contattai un avvocato, preparai i documenti del divorzio e feci arrivare la raccomandata a casa. E lui mi diceva: “Tanto i tuoi non ti vogliono, qui devi tornare”, “senza di me sotto un ponte e disperata finisci, non sei capace di fare nulla”. Lui invece di portarmi dei fiori venne a casa e mi disse:”volevi andare in terapia e ti ho detto di no, se vuoi ora ti accompagno…che sei impazzita hai bisogno dello psichiatra”; e ancora:” io mi ucciderò così devi spiegare a tua figlia come hai ucciso suo padre e le hai rovinato la vita!”; e anche:”io prima uccido la bambina, così sai che significa soffrire, poi uccido te, che non è che ti fai la vita tua, e poi mi uccido io che tutti quanti devono sapere che hai rovinato una famiglia, tu che dici di amare tanto tua figlia!!”. Così, con l’aiuto della Dottoressa Rendina capii che dovevo prendermi cura di me ora più che mai e smisi di rimanere sola con lui. Ma mi telefonava ancora con la scusa di parlare di nostra figlia e mi strillava come un pazzo e mi diceva che facevo la vita, che lo volevo rovinare, che lo derubavo, che non voleva più nessun legame con me né terreno né divino. Lui aveva parlato con persone molto in alto ed ero in una posizione gravissima! Che per colpa mia ora mi doveva distruggere… Così ho smesso di rispondere al telefono. Gli ho dato un orario in cui poteva telefonare e faccio rispondere direttamente la bimba. Dopo pochi mesi ha iniziato a convivere con un’altra donna che lui diceva essere molto migliore di me. Così con la dottoressa abbiamo sfruttato questo fortuito evento e la dottoressa mi ha insegnato a dileguarmi nel nulla e a sottrarmi da questa relazione deleteria. Questa è la mia storia!
Ora ho una nuova famiglia bellissima, mi curo di mè ed ho imparato a dire chiaramente quello di cui ho bisogno per stare bene.
Grazie alla dottoressa Rendina Margherita, ora sono salva e ho un futuro, ora affronto le difficoltà e la vita da protagonista, non ho più paura e affronto la vita con disinvoltura. Ora conosco i miei limiti e mi prendo cura di loro, ora mi perdono!
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Così trovai da sola la Dottoressa Rendina e iniziai in segreto la mia psicoterapia. Fu un percorso molto produttivo. Dopo un primo momento, che durò qualche mese, di crisi e disorientamento, presi consapevolezza di mè, di cosa volevo, di quali erano i miei difetti che mi avevano incastrato in quella relazione, di quali erano le mie responsabilità...
D.L.
La mia esperienza inizia come ammalato e poi si trasforma in caregiver.
Infatti all’inizio del 1999, nel mese di Marzo e poi nel mese di Maggio per strada e, fortunatamente vicino casa, improvvisamente perdevo feci in abbondanza, come se qualcosa mi scoppiasse dentro e spingesse tutto fuori.
M.V.
Il mio nome è G.A. ho 80 anni e sono il caregiver di una donna a me cara operata al seno. L’ho accompagnata alle visite e lungo tutto il suo percorso, fino ad approdare assieme dalla Dottoressa Rendina Margherita.
G.A.
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